La pasta per pizza

Se qualcuno vuol toccare con mano gli effetti della globalizzazione, venga a cena a casa mia per un paio di giorni. Può anche darsi che, tra una cinquantina d'anni, gente come noi rappresenti la normalità. Per il momento siamo però una famiglia "futurista", non c'è che dire - e non solo perché riunire un gruppo d'amici crea una sorta di torre di Babele con almeno quattro lingue ufficiali, e perché campiamo praticamente con la valigia sotto il letto, ma anche perché a tavola, avete presente l'italiano da barzelletta che va in Tailandia con gli spaghetti e la lattina di pomodoro nello zaino? Ecco: il contrario. Oggi posso cucinare cinese, domani thai, dopodomani indiano e poi ancora giapponese, italiano e francese, e non per gusto dell'esotico, quanto perché è tutta roba che è entrata a fare parte della quotidianità e che torna comoda quando si ha un marito che nonostante il passaporto italiano odia profondamente la pasta. C'è però un momento in cui la mia cucina si chiude all'Universo mondo e abbraccia un nazionalismo a dir poco sfegatato: ed è il momento della pizza.
Da quando vivo in luoghi in cui la parola pizza può assumere i significati più inquietanti - sorta di brioche con sopra i broccoli, cracker "affogato" da una montagna di improbabili condimenti, biscotto con prosciutto e ananas, specie di sfoglia di lasagna con salmone e panna, via libera alla fantasia - si è reso necessario darsi da fare per produrre una pizza che non mi frutti la revoca della cittadinanza del Belpaese. Negli anni sono riuscita a mettere a punto una ricetta che mi dà soddisfazioni ed è frutto di arrabbiature per risultati scadenti, incursioni sul forum italiano dei pizzaioli professionisti, e perfino indagini sui meccanismi chimici della lievitazione, per la serie: dilettanti allo sbaraglio. Di ricette ne circolano quante ne volete, e alcune saranno naturalmente migliori, ma intanto... eccovi la mia.
L'avventura inizia la sera prima, perché dovremo lavorare con il metodo del poolish, il preimpasto, e poi mettere la pasta a maturare in frigo prima della lievitazione. Questo consentirà al lievito di completare la sua azione in forno e non nello stomaco di chi mangerà la pizza, risparmiandogli la sete, il senso di pesantezza e altri svantaggi che certe volte si accompagnano, a mo' di contrappasso, a una bella serata in pizzeria.
Quindi, dopo cena, impastiamo con le mani
  • 100 g. di farina 0 (#550)/Manitoba;
  • 100 g. di acqua depurata o minerale, a 25º circa;
  • 1 cucchiaino di malto o miele;
  • 3-4 g. di lievito di birra fresco.
Copriamo con un piatto, e lasciamo indisturbato ché l'indomani ne riparliamo.
L'indomani mattina mettiamo nell'impastatrice (la mia è una Krups, di livello medio; voglio dire che è ben lontana da quelle superlusso della Kenwood, però non mi ha mai reso un cattivo servizio), nell'ordine:
  • 300 g. di farina 0 (#550)/ Manitoba;
  • 100 g. di farina 00 (#405);
  • il poolish;
  • 4 cucchiai di olio;
  • 100 g. di acqua depurata o minerale, a 25º circa, in cui avremo sciolto
  • 8 g. di lievito di birra fresco (anche 6-7 d'estate).
Diamo un po' di "giri" per amalgamare il tutto (risulterà un impasto "bricioloso") e poi aggiungiamo ancora
  • 100 g. di acqua depurata a 25º con sciolti dentro
  • 2 cucchiaini di sale.
La mia impastatrice ha un programma specifico per le paste da pane, ma io do' sempre qualche minuto in più e mi regolo a seconda dell'incordatura della pasta. Quando, appunto, incorda e forma una bella palla omogenea che si stacca lasciando il recipiente pulito, va bene. In Italia, in mancanza dell'impastatrice, ho fatto lo stesso lavoro con un normale mixer con le fruste a gancio, ci vuole un po' più di tempo ma funziona lo stesso: l'importante è non aggiungere altra acqua, per così dire, a intuito.
A questo punto io peso l'impasto e lo divido in due. Risultano circa 800 g. di pasta e non mi vergogno di dire che ce ne becchiamo metà a testa. Siamo gente senza fondo. Metto le bocce in due ciotole leggermente unte d'olio, copro con pellicola e via in frigo, nella parte bassa, fino a nuovo ordine.
Verso le 16.00 tiriamo fuori le ciotole dal frigo e le lasciamo a temperatura ambiente per tre quarti d'ora circa. Poi passano in forno spento (circa 35 gradi), con dentro anche una tazza d'acqua bollente. Intorno alle 19.00 lasciamo cadere la pasta al centro della teglia dove verrà cotta e diamo, con delicatezza per non far uscire del tutto i gas prodotti dalla lievitazione, una piega a tre secondo le magistrali indicazioni di Adriano. Chiudiamo a palla e lasciamo riposare 20 minuti, coperto con carta di nylon da fioraio (anche per questo devo ringraziare Luvi: prima usavo, all'antica, il panno umido, che poi ogni tanto si asciugava nel forno e non funzionava più a dovere, oppure si sporcava, etc. etc.)
Terminati i venti minuti, stendiamo la pasta alla napoletana: dal centro verso i bordi, rigorosamente con le mani. Ricopriamo con il nylon. Lasciamo riposare 30 minuti e poi potremo condire e infornare, dopo avere riscaldato il forno regolandolo "a palla", al massimo possibile. Dopo una decina di minuti abbassiamo a 210-200 circa. L'ideale sarebbe di cuocere una teglia per volta, ma se è impossibile, allora mettetele in posizione il più possibile "neutra" e poi... fidatevi, senza cedere alla tentazione di aprire per scambiarle di posto. Con il mio forno conto circa venti-venticinque minuti di cottura, ma non è poi il massimo che si possa desiderare, come elettrodomestico...
Ora non è per dilungarmi, ma per evitare che altri facciano abbìle, per dirla alla palermitana, per gli stessi motivi per cui l'ho fatta io in questi anni, voglio mettervi in guardia da qualche passo falso.
  • acqua non depurata: pasta dura, lievita poco
  • temperatura del forno troppo bassa (forno non acceso per tempo, fretta nell'infornare): pasta, come dire, soggy...ecco: limacciosa, poco lievitata
  • temperatura troppo alta durante l'appretto (cioè la lievitazione in forno spento): la pasta si asciuga e poi non dà il meglio di sé; si forma la crosticina!
  • bocce di pasta non ben coperte con la plastica: si forma la crosticina e sono cavoli amari!
  • filosofia del "meglio abbondare" al momento del lievito: odore acido, pasta che lievita troppo, poi fa puff, si sgonfia e anche a reimpastarla vi procura una pizza, come dire, citrigna, per nulla soffice; la pasta "giusta" deve avere un odore simile allo champagne;
  • solo farina 0: pasta poco elastica e difficile da stendere;
  • troppa acqua: pasta troppo compatta, poco soffice, effetto "chewing-gum".
Che dire...buon divertimento, ma attendo notizie su eventuali sistemi per migliorare il risultato!

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