Pane cafone napoletano


Cavolo, è caduta alla fine. Sto parlando della neve, quella seria, che cade a farina, non te ne accorgi, e poi l'indomani mattina ti fa svegliare con fuori dalla finestra uno strato di... Ve la risparmio, la parola che sintetizza la mia visione, pochissimo romantica, del paesaggio innevato. La mia totale mancanza di nostalgie per il Sud, che riesce sempre ad épater le bourgeois quando viene fuori in società - c'è da queste parti chi si aspetta che un italiano expat stia sempre a frignare perché pensa al paesello natìo -, in questi casi, di fronte alla prospettiva di scivolate, fango, freddo boia, diventa lievemente più moderata, e si vede benissimo da quello che ho messo in tavola in questi giorni. Sfincione alla palermitana, dolce maghrebino, e qualche giorno fa...
...il pane cafone, per esempio: per me che amo Napoli alla follia! Conosciuto durante vacanze estive nella zona di Sorrento, amato ma mai ritrovato al di fuori della Campania: lo vendevano in pezzature da Ciclopi, e già questo bastava a impressionare! Non sono mai riuscita a riprodurlo, prima perché ci vuole il lievito madre, poi perché una volta procurato il lievito bisognava imparare ad addomesticarlo. Infatti i primi tentativi sono stati tremendi, e ho pasciato perdere: il pane faceva onore al suo nome di cafone, ma non nel senso di rustico, bensì maleducato, dispettoso e traditore. 
A complicare le cose, se guardate su Internet alla voce pane cafone, girano ricette che a giudicare dalle foto danno un buon pane rustico, ma non quello, e tutto si confonde ancora di più. Alla fine però ce l'ho fatta. Grazie a Rossella e alla sua "Cavia", simpaticissimi autori di machetiseimangiato.com che mi hanno dato l'idea! Le dosi le ho modificate io per le mie esigenze di casa: un pane di dimensioni rispettosissime, anche se non come quelli in vendita (ché tanto non ci entrerebbero, nel forno), lo preparerete con:
  • 150 g. di lievito madre, rinfrescato al mattino;
  • 375 g. di farina 0 (#550);
  • 75 g. di farina Manitoba o farina 0 del tipo 1150;
  • 325 g. di acqua;
  • 10 g. di sale;
  • 1 cucchiaino di malto.
Il lavoro inizia nel tardo pomeriggio con l'impasto di tutti gli ingredienti, fino a quando la pasta non incorda bene. Si mette da parte per un'ora e poi si danno delle normali pieghe a tre; si ripete l'operazione dopo un'altra ora, poi ancora dopo un paio d'ore, e poi finalmente... tutti a letto.
L'indomani mattina ancora pieghe, stavolta a busta, per formare un filone: si forma un rettangolo con la pasta, si piegano i due angoli superiori verso il centro e si arrotola a partire dalla "punta" che si è formata. Lievitazione ulteriore per 4 ore e poi in forno, sulla pietra refrattaria e  con la ciotolina d'acqua, a 250 gradi per i primi cinque minuti e a 220-210 per altri 40. E' una roba fenomenale, specie per i fortunati che possono disporre, senza dover andare a cercarlo in capo al mondo e pagarlo come un lingotto d'oro, del fiordilatte o della mozzarella di bufala originale per accompagnarlo... (ops... non è che finirò col corrispondere davvero allo stereotipo?)

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