Pane emiliano "Treccia pressata"

C'era un tempo in cui la mia immagine era costantemente associata all'idea del cioccolato.
Diciamo trent'anni fa.
Che poi, è vero, mi piace il cioccolato, però che diamine, era diventato un mito: ogni occasione era buona per dare sempre la colpa al noto cibo degli Dei. "Certo" precisavano i grandi, senza lasciarsene scappare una "con tutto il cioccolato che mangi!". Magari poi me lo fornivano loro, si capisce, però il commento era d'obbligo. Non mi piaceva la minestra? "Da domani basta con tutto 'sto cioccolato!". Un eritema cutaneo? Diagnosi sicilianissima "Ancora cioccolato, devi mangiare!".
E adesso che ci sarebbe libertà assoluta? E no, a 38 anni, bisogna andar piano, se no poi si sfascia la barca.
Ma la merenda delle merende è sempre quella, pane e cioccolato... insuperabile, e io qualche giorno fa ho proprio voluto concedermela, complice la presenza del pane giusto che si prestava alla bisogna: la treccia pressata romagnola, secondo la ricetta di Fabrizio Ligis. A Nino Manfredi in veste di emigrato in Svizzera e al suo celebre film Pane e cioccolata,  da expat ancorché felice, preferisco però non pensare... 

Prevedete una lavorazione un pochettino rognosa, perché la pasta dev'essere affinata secondo un metodo che più o meno rassomiglia a quello del pain brié francese. Se vi va di affrontare l'avventura, che comunque con una macchina da pasta, la classica  "nonnapapera", è decisamente facilitata, non ve ne pentirete perché la crosta profumata e l'interno soffice e bianco di questo pane ripagano della fatica.

Ligis indica dosi pantagrueliche per produrre pane su larga scala, mentre con queste mie vengono fuori due trecce medie. 
  • 75 g. di lievito madre ben attivo;
  • 5 g. di sale;
  • 5 g. di olio d'oliva;
  • 95 g. d'acqua;
  • 200 g. di farina 0 (#550);
  • 10 g. di malto;
  • 4 g. di lievito di birra.
Si inizia col miscelare la farina con metà dell'acqua, il lievito di birra sciolto in essa, l'olio e il malto nell'impastatrice; poi si aggiunge il lievito madre, il resto dell'acqua e il sale per ultimo. A seconda della farina che usate la pasta potrebbe risultare dura: in questo caso va aggiunta altra acqua, ma piano piano, col cucchiaio, per ottenere una pasta  morbida senza rovinare tutto rendendola collosa. L'impasto si lavora dieci minuti al minimo dei giri e poi ancora altri cinque, finché non è ben incordato e si stacca lasciando la ciotola pulita. A questo punto mentre per altri pani potremmo tornare alla nostra vita, la treccia pressata non ci lascia in pace. Bisogna formare l'impasto a palla e lasciarlo riposare coperto per mezz'ora, poi dividerlo a pezzetti da pressare con la nonnapapera di cui sopra. Se no, sono cavoli, bisogna completare l'operazione col mattarello, e se avete un amico particolarmente robusto da incaricare, sarà una vera fortuna. Si inizia con un paio di "giri" alla massima apertura del cilindro, poi potremo stringere fino ad arrivare al "livello" 3-4, sempre facendo passare l'impasto 2-3 volte tra i rulli prima di promuoverlo alla fase successiva. Dopo di che rimettiamo la pasta insieme e porzioniamo in pezzi da 150 g. ciascuno, saranno quattro, in questo caso. Li facciamo ripassare nella macchina da pasta e li arrotoliamo ben stretti. Poi prendiamo due di questi serpenti, li assottigliamo un po' e li intrecciamo insieme. Compattiamo la treccia premendo le due estremità verso il centro e la schiacciamo. Poi pratichiamo un'incisione per il lungo. Ripetiamo l'operazione con gli altri due panetti e mettiamo le trecce pressate a lievitare per un'ora a 21 gradi, coperte con pellicola. Dopo la prima lievitazione, incidiamo ancora una volta nel solco del precedente taglio, ricopriamo e mettiamo in forno spento a 30 gradi fino al raddoppio del volume. Questo pane si cuoce per 10 minuti a 230 gradi e per altri 15-20 a 200. Unica pecca: non si conserva a lungo come gli altri pani con pasta madre: diciamo due giorni, non di più. Dopo questo tempo però è l'ideale per fare le bruschette! Se lo servite a ospiti, nessuno crederà che non l'avete comprato. Infatti mio marito, che è abituato ormai ai pani rustici, anche perché qui vanno per la maggiore - a giudicare da quello che vedo in giro, non credo che la nostra ciriola avrebbe un gran successo - e a tavola è tutto fuorché patriota (prima o poi gli ritirano il passaporto) ha commentato, paradossalmente un po'deluso: "ma sembra quello del panificio italiano..."
Devo prenderlo come un complimento?

Commenti

  1. Ciao,

    mi fa piacere sapere che hai provato una delle mie ricette del pane fatto in casa.

    C'è una ricetta molto interessante che potresti provare: Il Pane nero di Castevetrano. Per fare questo pane occorre la farina di grano duro siciliana della varietà Tuminìa. Se mi mandi una tua e-mail a fabrizio.ligis@gmail.com saprò come farti arrivare un campione di questa farina per i tuoi esperimenti.

    A presto

    Fabrizio Ligis

    RispondiElimina

Posta un commento